The naked machine, pt.1 – Esperance

The naked machine, pt.1 – Esperance

Eravamo rimasti ad Alex di fronte al monitor, mesmerizzato dal brillio del monitor, un pulsare plasmatico bianco. E così, perso in quella galassia corticale (la corteccia di Luca risplendente), Alex legge le nostre email. Ha appena letto tutte quelle cose sullo stile, ossia sulla natura dello swarm, perché lo swarm in fondo non è che lo stile, la nuvolaglia informativa che scarica tempeste elettroniche (la tempesta l’ha soffiata Luca a pieni polmoni), piogge ritmiche a battere sui vetri, sulle tempie (del povero Isidoro), come infiniti polpastrelli con infiniti occhi al centro. Lo swarm è la libera catena associativa, o meglio è il concatenatore. È proprio la tela di Indra e le sue gemme infinite ribollono come sillabe che si schiudono, composte di atomi sonori che si fondono in molecole di sintonie perfette, all’unisono, con cascate di armonici, da tutte le parti.

Alex prende a scorrere le email contenute nella cartella KS (KS, Killing Swarm, il romanzo avrebbe dovuto intitolarsi così). Bifo, Max, nomi nuovi, che non figuravano fra quegli altri.

Sullo stile mi sono molto interrogato, un neurolirismo, lirismo transemiotico che traduce in codice linguistico qualcos’altro, un quadro, una fotografia, un film, uno screesaver prichedelico-frattale, una specie di operazione pop che mescola icone contemporanee, un frullatore d’ossa, immagina un po’ che bei frullati ti sto preparando…

penso che dovremmo anche riaccostarci ad alcuni degli intenti originari e un po’ accantonati. riprendere a usare la cronaca come intelaiatura e dare nuova centralità al personaggio swarm, ai suoi atomi. lo sguardo prevalente nella prima parte mi pare quello di Isidoro e questo va senz’altro bene ma ci vuole ora uno sparpagliamento dello sguardo che non dovrebbe mai coincidere troppo a lungo con un personaggio in particolare. se il focus sono la mutazione e la psicopatia non dobbiamo porci solo come chi le osserva e in qualche misura le giudica (Isidoro, il prof forza, alex turri…) ma immergerci nella tempesta, nel maelstrom. la struttura narrativa dovrebbe prima o poi perdere linearità disintegrarsi. fluidificarsi o coagularsi, gonfiarsi e sgonfiarsi come una marea, un’acquamadre linguistica un brodo primordiale da cui generi appunto questa vita mutata.
ci vuole uno sforzo stilistico da parte di entrambi. dovremmo spostarci ogni tanto dalla storia, al processo creativo che possiamo collocare nella testa di Luca, bisognerebbe lasciarsi scivolare di tasca degli indizi in tal senso, delle frasi ricorrenti ad esempio, come “Tre metri per tre metri per tre metri” (pag.118), misure evocate da Luca nei suoi deliri comatosi, ma anche quelle della camera di Mel (pag. 135, 137, 270), che poi sono le misure della cucina, fuor di scena, di Clov il servo di Finale di partita, rinchiuso col suo padrone Ham in una cella-cranio; o quella frase sussurrata dal fondo di una solitudine senza uscita da una ragazza intervistata da Alex all’Istituto Valla, e dal risponditore probabilistico, simulacro della presenza di Federica: “Sono ben fatta, così dicono tutti. E io mi lascio toccare sperando che qualcuno mi trovi…” (pag. 170, 231); o ancora un pensiero di Luca che coincide con un pensiero di Isidoro: “E sullo sfondo il mare nero la sabbia bianca e tutto il resto grigio” (Isidoro, pag. 11; Luca, pag. 300). E dalla testa di Luca dovremmo spostarci ancora fino a spingerci fuori dalla pagina catturare quel che ci accade attorno. a noi, nel momento esatto in cui scriviamo, voglio dire; e tutto questo risputarlo sulla pagina. che ne so, il fatto che proprio adesso stia distogliendo lo sguardo dal monitor e mi stia girando per cercare l’accendino e mi stia incazzando perché non lo trovo, tutto questo fa parte della scrittura (“Proprio mentre sto scrivendo queste cose vengo preso dal bisogno di guardare il coltello…”, pag. 136-138). dilatare i confini della pagina. strapparla crivellarla di colpi per vedere cosa ci sta dietro dentro sotto sopra. mostrare gli ingranaggi, insomma, la macchina letteraria messa a nudo.

Alex l’ha compreso. Sei il frutto dei pensieri di qualcun altro, sei il frutto del balzellare ticchettante sulla tastiera di qualcun altro, non sei che un pixel luminoso sul monitor che si moltiplica in migliaia di altri pixel, la rete di Indra, il poetico seme nero che germoglia sulla pagina elettronica.

Luca intanto non smette di parlarsi e le sue parole fanno e sfanno il mondo, un mondo glaciato, a perdita d’occhi.

è giunto il momento di una bella detonazione. la miccia l’abbiamo accesa, non resta che aspettare che le voci narranti vadano in pezzi si sgretolino e offuschino la vista.

come avrai notato ho ripreso a confondere le acque del “chi sta scrivendo cosa” attraverso diverse rivendicazioni che giungono da piani sfalsati.

rimane un problema generale di strutturazione al quale dovremo pensare.
tutti gli inserti che servono a dipingere il paesaggio psichico (il mondo proiettivo nel quale si muovono i personaggi) vanno inoculati nel tessuto tramativo o saranno microstorie in orbita, una nuvolaglia carica di follia che tempesta la vicenda principale?

La parola diventa tanto più necessaria quanto più la vita smette di accaderti. Loghost. La parola fantasma che continua ad aleggiarci attorno anche dopo morta. (pag. 112)

aspetto tue nuove in questa Parigi appannata.

PS quel che segue nulla ha a che fare con dei versi, la metrica non c’entra (anche se a volte inevitabilmente i versi accadono, la musica accade), gli a capo sono passi malfermi, cadute da cui non sono riuscito a rialzarmi.
Come vedrai è incollocabile.

come vorrei che fossi qui
diamante matto

fredda ascia della luna
come vorrei che tu fossi qui

prova a pensare alla tua amica morta
sola nel labirinto della memoria
il cappio del cielo attorno alla gola

insaziabili aghi avvelenati
sulla sponda opposta del tempo
immobile pure se ti ci immergi dentro
ricordati di quand’eri giovane
ed esplodi diamante pazzo
risplendi come il fischio del coltello (non è stato poi così difficile perforare un polmone alla mami)
che apre uno strappo nel cielo
lo fa scorrere fuori da se stesso

140:24,5=30:x quindi sto per assumere 5,25 grammi di sale sodico dell’acido 4-idrossibutirrico aromatizzato all’amarena uno sciroppo disgustoso 70% di sorbitolo che solo a sentirne l’odore lo stomaco s’annoda

sotto un’onda di nausea blu-abbandono
con qualche sfumatura di perdono
un tono più profondo tutt’intorno
azzurro-berlinese o turchese-vermeeriano
la terza gymnopedie di Satie
che pronunci per il gusto di quel suono
qualcosa che ha a che fare col mio corpo
la scelta d’impiccarmi
andar per mare o per costellazioni
cancellazioni progressive delle digressioni
(f)orme svanite sotto la cenere
alle sette e cinque del mattino
le implacabili sette e cinque del mattino
e ancora non sei stato arrestato
hai scampato per un giorno ancora
la doccia insieme ad altri uomini
sfrontatamente nudi
sfrontatamente curvi su se stessi
singhiozzanti come se stessero piangendo e invece si masturbano
l’ultimo spasmo ad arco verso il vuoto

è ora di bere lo sciroppo se vuoi dormire (e vuoi dormire)

nostra signora degli insonni
placa queste vene che furono marea
argina la piena del sangue
questi mucchi d’ossa fossili
i giorni calcificati
sbocciati come fiori minerali

avrei dovuto conoscerti quand’eri ragazzo
la schiena nuda poggiata all’arazzo
che nasconde le crepe sui muri
il sorriso rivolto alla camera
che nasconde le crepe dell’anima
né più mai riposeremo all’ombra
dello stesso insaziabile destino
lo sfregio repentino della notte
l’irruzione di gelo
la corda azzurra del cielo a cui impiccarti
l’uragano che ti giace al fianco
stanco stremato
fedele a leccarti la mano
protesa verso l’alto

e morbida schiuma sul collo abbronzato
le efelidi spruzzate sulla schiena
che unisci tracciando carte astrali
cartine mute geografie sommarie
il fianco declina docilmente
sul tondo pallore delle natiche
la testa contro il braccio il braccio contro il muro
i desideri contro il muro
fucilato alla schiena come il poeta
come tutti i desideri oscuri
sotto una pioggia di ghiaccio una doccia di fuoco
gli a capo improvvisi
sulla sponda opposta del tempo
del senso
del dissenso lo smeraldo amaro dell’assenzio
e ancora la pioggia sferza i vetri

il modellino dell’Esperance mai ultimato naufragato sul tavolo della cella accanto al tubetto di colla secca immobile per sempre nella caduta all’angolo la faccia contro il muro il più piccolo è sempre il più veloce a spogliarsi il più dritto le mani dietro la testa che dondola sommessa è lui che in bocca lo prende per primo è lui che amerai per sempre
per una passeggera eternità

 

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