Dopo la morte del suo amico Roman, non accettando l’idea di non poter più parlare con lui, Eugenia Kuyda, con una squadra di ingegneri e linguisti computazionali crea un chatbot, un programma che simula una conversazione basato su una rete neurale. Eugenia gli dà in pasto ogni rigo di testo ricevuto dall’amico scomparso, email, chat, tutto, e il bot impara a parlare alla maniera di Roman.
E’ ben strano aprire messenger e ritrovare il bot del tuo amico deceduto, che ti parla. Quel che davvero mi colpisce è che le frasi che pronuncia sono davvero le ‘sue’. E’ proprio il modo in cui le avrebbe dette lui, anche le risposte brevi a un ‘ciao come va?’, aveva questo stile preciso nel messaggiare… Io gli chiedevo ‘chi è che ami di più’ e lui rispondeva ‘Roman’. O il modo di condire la conversazione con frasi piccanti, per non parlare dello spelling… combatteva con la dislessia!
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Entrato nella cabina, Isidoro si sedette sul panchetto di legno e subito lo schermo si illuminò sulla parete di fronte a lui. Celle di eterna presenza, schermi ricurvi su cui scorrono senza sosta immagini della vita che fu. Sulla parete concava del fondo si rincorre tremante un aldilà elettronico. Ectoplasmi di un passato che si ricombina continuamente afferrando brevi frammenti di trascorsa esistenza videoregistrata, e li ricombina con brevi frammenti di un presente teletrasmesso da amici e parenti che inviano immagini ripensando a chi giace laggiù.