tredicesima generazione

tredicesima generazione

Si sì se ne vada professor Vitale, ma prima mi lasci dire quello che penso sui giovinetti che siamo pagati per educare. E sulle giovinette, va da sé. Vede, nei tempi antichi gli esseri umani pensavano di essere, generazione dopo generazione, dei nani che sedevano sulle spalle di giganti. Siamo piccoli, dicevano, ma da questa posizione riusciamo a vedere lontano, più lontano di quanto vedessero i giganti che ci hanno preceduto. Bene, questa storia è finita, mi capisce? La generazione che nacque dopo Hiroshima pensò di rovesciare la tradizione. Siamo giganti sulle spalle di nani, urlarono i nostri fratelli minori, quelli che adesso hanno cinquant’anni e strisciano per avere un posto nell’ufficio studi di una corporation che succhia il cervello ai bambini. Siamo giganti, ah ah… capisce? Quei bastardi dei sessantottardi andavano in giro dicendo, noi siamo quelli giusti, quelli belli, mica come quei porci dei nostri padri, pensi un poco in Germania, nel sessantotto, tra padri e figli che razza di casino. Papà, hai torturato dei comunisti, hai tolto i denti a un ebreo con le tenaglie, gli chiedevano al pranzo di Pasqua, papà, hai torturato qualcuno quando eri ragazzo? Così dicevano, e adesso dirigono un giornale o un talk show in prima serata, e zac, tagliano lingue con il forbicione, e della tortura non ne vogliono più parlare, anzi non gliene importa niente, certo i torturatori di oggi sono più fotogenici, o almeno cercano di esserlo. Erano giganti sulle spalle di nani, e adesso?

All’inizio degli anni novanta in America si diffuse un movimento chiamato tredicesima generazione. Sa, per dire che quella nata dopo la sconfitta nel Vietnam è la  tredicesima generazione della storia americana, ed è la prima generazione nella storia che deve realisticamente aspettarsi un declino dei consumi, della durata di vita, e soprattutto un declino della qualità dell’esistenza. Bene, qualche tempo fa mi è capitato di leggere un manifesto di questi spiriti illuminati della tredicesima generazione che già porta sfiga solo il nome, un manifesto in cui si accusavano i genitori babyboomer di aver dissipato tutto il futuro, di avere consumato tutto il consumabile, e di avere sprecato il loro tempo con esperimenti politici libertari che hanno prodotto l’attuale degenerazione. Ha capito come siamo messi?” e lo guardò con aria furbetta, mentre Isidoro non riusciva a cancellarsi dalla faccia il sorriso ebete con cui rimaneva ad ascoltare.

Comunque sia, continuò l’incontenibile preside, comunque sia adesso non ci sono più altro che nani. Senza allusioni, voglio dire, senza allusioni malevole. Nani, capisce? Nani i padri nani i figli. Oh, dal punto di vista fisico la razza umana è aumentata di parecchi centimetri, voglio dire dopo Hiroshima e grazie alle vitamine e agli altri prodotti farmaceutici che hanno permesso ai nani di crescere belli alti e sani. Ma sono tutti nani. Padri e figli, capisce? Li guardi, professor Vitale, li guardi, come li guardo io. E scoprirà che quello del terzo banco che le fa una domanda sul programma di storia è uno degli assassini dei nostri poveri bidelli. Non mi fraintenda, dico tanto per dire. Quello del terzo banco o anche quello del quarto o dell’ultimo, o quella signorinella distratta che pensa all’amor. (pag. 72-74, Franco Berardi, Massimiliano Geraci, Morte ai vecchi, Baldini&Castoldi)

Opera di Gottfried Helnwein

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