Tom e Lola

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Non si parlavano quasi mai, eppure sapeva di volerle bene. Si conoscevano dai tempi delle medie, quando ancora era capace di abbracci. Ormai, aveva imparato a gonfiarsi attorno una bolla d’impermeabilità, che espandeva o comprimeva secondo l’occasione, variando la distanza dal resto del mondo animato e cercando, per quanto gli fosse possibile, di non farla mai coincidere con la propria pelle. Detestava ogni forma di contatto. Temeva che qualche particella di sé sfuggita al suo controllo evaporasse precipitando poi su un corpo che non gli apparteneva; o peggio, che qualche particella di calore estraneo potesse infiltrarsi nei suoi pori, nelle mucose, come un polline insidioso e allergizzante.

Conoscendolo si sedette, senza farselo dire, all’altro capo del divano dove Tom era stravaccato. «Come stai?» chiese senza aspettarsi risposta. Avrebbe voluto almeno tendergli la mano, ma sapeva trattarsi d’un inutile azzardo che avrebbe dato il via a una filippica incollerita su quanto deprimente fosse, per lui, mischiare i propri odori con quelli di chicchessia, o alterare il ph della propria pelle rischiando una rivolta pruriginosa.

Tom si alzò e inserì la chiavetta USB nel lettore di dvd. Accese la tv e la stanza prese a tremolare della catodica luce votiva. Due figure sanguinolente in ginocchio. Avvinte l’una all’altra, fronte contro fronte, in un’unica suprema sconfitta. Urla forsennate d’incitamento. Le spranghe che si levavano per aria. Il cielo una radiografia graffiata da incertezza di stelle. Con uno strappo al centro. E una notte ultraterrena, più nera della notte fuori, che versava pece bollente sulla danza gelida, trapunta di lampi rossi, vampe sfavillanti d’occhi. L’Erostek ET-312B, prodotto dalla Maya Unlimited ronzava sommessamente liberando il suo galoppo elettrico sul corpo irrigidito-rilassato-irrigidito del ragazzo che intanto aveva tirato giù la lampo. “Libera! Ancora! 1…2…3 Libera!”. Quell’immagine non l’aveva più lasciato. Lo sfrigolio del defibrillatore. Le mani impazzite. Il corpo teso in un arco d’isteria. Lo soffocava lo affascinava lo eccitava. Gli elettrodi collegati uno alla base del membro, attorno allo scroto, l’altro subito sotto il glande e un plug anale che sobbalzava a ogni contrazione muscolare involontaria.

Lola, immobile, fissava il piacere di Tom che si librava in scintille d’acquamarina liquefatta. Orlato d’un crepitante blu antartico e spruzzi magenta, come una foto kirlian.

Lui aveva preso a toccarsi il petto. Reclinò il capo serrò i denti strizzò gli occhi. Finché non si sentì colare fuori da se stesso in un denso lago d’incoscienza.

Fu a quel punto, che sullo zigomo destro gli brillò un otto rovesciato, simbolo d’infinitezza.

Coi pantaloni arrotolati alle caviglie, si voltò a guardare Lola, allungando verso di lei il dito indice da cui colava madreperla tiepida. Anche Lola stese il braccio e la mano, beandosi di quel contatto organico. Le parve che lo sperma di Tom, come una pasta conduttrice, le trasmettesse tutto quel che lui provava. Si sorrisero per pochi interminabili secondi, indice contro indice, finché il seme si fu rappreso e sullo zigomo sinistro di Lola apparve un medesimo segno d’infinito ma rosso, come un rubino di Mogok, e di segno opposto. (pag. 86-87, Franco Berardi, Massimiliano Geraci, Morte ai vecchi, Baldini&Castoldi)

Fotogrammi del film di Bertrand Arthuys, Tom e Lola

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