Magic bus

Magic bus

Martina ricordò un suo viaggio a Kabul. A quei tempi si leggeva Howl. I ragazzi azionavano la dinamo stellare con pedalate vigorose e spensierate collegandosi al meccanismo della notte. Era partita da Amsterdam, ricordi il Magic bus? L’autobus era disceso lungo le strade d’Europa, aveva attraversato i Balcani che allora si chiamavano Jugoslavia, da Nord verso Sud, e in qualche giorno aveva raggiunto Istanbul. Poi aveva ripreso la traversata correndo lungo il mar nero fino a Trebisonda, poi giù verso il paese curdo, verso Suleymanja, poi la Mesopotamia, fino al confine iraniano. Qualche problema a Teheran dove a quei tempi c’era quel porco di Rehza Pahlevi, ma se non finivi nelle mani della SAVAK tutto poteva filare liscio, e infine l’autobus aveva superato le montagne afghane verso la meta finale.

Gira e rigira le grandi conquiste della medicina si riducono a questo: ci allungano la vita per rovinarcela. Dovremmo ringraziarli? Ma perché? Sono vent’anni di avvizzimento e depressione, vent’anni che rovinano anche il ricordo di una bella vita, lo dico per quelli che hanno vissuto una vita bella e non è il mio caso… ma insomma che guadagno c’è nel trascinare per venti anni di più una carcassa senza piacere senza brillantezza senza fremiti? Me lo sai dire che guadagno c’è? Il mondo è impestato da questa epidemia di vecchiaia. Giri per le strade di una città occidentale e vedi solo cadaveri ambulanti, vecchi penosamente agghindati per sembrare un po’ meno moribondi. La depressione ha riempito ogni anfratto come un gas venefico, ed è colpa nostra… Siamo noi i portatori del contagio, siamo noi che diffondiamo questo odore di morte che impregna l’atmosfera. Non lo vedi? Abbiamo contagiato anche i ragazzi che si guardano nello specchio terrorizzati dall’idea di assomigliarci. (pag. 34, 36, Franco Berardi, Massimiliano Geraci, Morte ai vecchi, Baldini&Castoldi)

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