Lux et nox
Laroxyl©, Anafranil©, Tofranil©, Vividyl©, Surmontil©. Io i triciclici li conosco bene. Potrei scriverci un libro. So anche i nomi delle rispettive molecole: amitriptilina, clomipramina, imipramina, nortriptilina, desipramina. E so come agiscono. Mio papà fa lo psichiatra. Mi ha spiegato cosa sono i neurotrasmettitori e che una loro deficienza può causare turbe dell’umore, “può farti perdere brillantezza”, dice la mami. So bene che il Tofranil© o il Vividyl© esercitano la loro azione agendo prevalentemente sul sistema noradrenergico, mentre il Laroxyl© e l’Anafranil© su quello serotoninergico. Mica sono tutti uguali i triciclici. Ve lo dico io che me ne intendo. Alcuni ti calmano e non senti più la paura ribollirti in pancia girarti dentro come la centrifuga di una lavatrice. Altri invece non ti calmano affatto, anzi ti mettono addosso una certa voglia di fare, di andare avanti e indietro per la casa, camera-cucina-soggiorno-cucina-camera. Non è che vuoi far niente di speciale. Ti basta andare in giro per la casa. Comunque qualcosa in comune i triciclici ce l’hanno. Ti seccano la bocca riducendoti la lingua a un pezzo di cartone rasposo, tipo se fumassi dieci canne di seguito. Io andavo in giro con la mia bottiglietta di Xerotin©, un umettante artificiale, e quel cretino di Claudio, mio fratello più piccolo, mi diceva sempre “se vuoi ti ci sputo io in bocca”. È un deficiente, come tutti i dodicenni maschi. E poi ti tremano le mani. E anche le gambe, ma questa delle gambe è una cosa più difficile da spiegare. Se stendi un braccio e tieni una cosa in mano, lo vedono tutti: trema. Ma le gambe anche se le stendi non tremano davvero. È una specie di tremore interno, un formicolio profondo, tipo quando ti si addormenta una gamba e fa male, ma la circolazione non c’entra. Questo tremore interno a momenti sembra piacevole, forse addirittura troppo piacevole, un piacere insopportabile, e vuoi che smetta: mio padre dice che questa è una lezione proprio importante da imparare: troppo piacere fa male? Bho! non sono sicura d’aver capito, e tu?
Avevo cinque anni la prima volta che ho desiderato con tutte le mie forze di morire, poi nuovamente a otto. L’unico modo mi sembrava buttarmi dal balcone. Non ero certo che la vita finisse sfracellata a terra, guardavo giù e pensavo che si sarebbe spalancato un cancello. Il mio corpo si sarebbe magari fermato, ma qualcos’altro avrebbe continuato a precipitare per sempre. La cosa mi terrorizzava al punto che sono ancora qua, al massimo mi sono sollevato sulle punte e ho fatto passare una gamba dall’altra parte tanto per assaggiare un poco il vuoto.
Mi sono ritrovata nel parcheggio dello Spacewalk, dentro una macchina sconosciuta, ero intontita e non ricordavo neppure d’esserci salita. Il cielo cominciava già a illuminarsi e mi pesava sulla testa. Era freddo. Anche dentro la macchina era freddo. Non riuscivo a scollare la testa dal sedile, ero sopraffatta dalla nausea, e il mondo si metteva a rotolare, schizzava come la pallina impazzita di un flipper che rimbalza sballottato in un frastuono di luci colorate. Avevo le mutande arrotolate alle caviglie, anzi attorno a una caviglia sola. Mi sono toccata fra le gambe. Bruciava. Quel bastardo deve aver usato un lubrificante e mi ha schizzato sulla pancia. C’è una patina secca e rugosa che si sfarina imbiancando i peli pubici. Ma forse non è successo a me, devono avermelo raccontato. È successo a qualche mia amica, ma in fondo è lo stesso, ti pare? Sono così confusa devono avermi messo due roofies nel gin lemon, oppure le hanno messe a una mia amica, che ne so. Ma in fondo è lo stesso, ti pare? Dovrebbero castrarli tutti quei porci bastardi. Ecco che dovrebbero fare.
Quando avevo pochi mesi, mio padre (è stato lui a raccontarmelo poco prima di morire) mi stringeva forte le dita minuscole dei piedi facendomi piangere e strillare. Gli dava la possibilità di confortarmi. Ha continuato per anni a farmi male in modi sempre più subdoli affinché non mi accorgessi ch’era lui la fonte del dolore. Accorreva poi in mio soccorso e io mi fidavo di lui. “Serviva a rafforzare il nostro legame: a farti mio”. Così mi ha detto quando ormai sentiva il cuore correre all’impazzata verso lo schianto. (pag. 167, 169, Franco Berardi, Massimiliano Geraci, Morte ai vecchi, Baldini&Castoldi)
Foto di Bill Henson