Il popolo delle cascate sacre
Laddove il manto di nuvole che ricopre l’alto bacino amazzonico, galleggiando verso ovest, si scontra con la cordigliera delle Ande ecuadoriane, e acque gelide precipitano dalle montagne nella foresta nebbiosa, oltre un intrico di rapide difficili a navigarsi, quando i fiumi infine prendono a serpeggiare placidi, là vivono gli shuar, il popolo delle cascate sacre, liquidi bastioni che li hanno protetti per millenni dai nemici. E di nemici ne hanno avuti molti.
Entsákua l’attendeva in prossimità della sua capanna, la più vicina alla foresta. Sembrava già sapere. E anche le madri sapevano, nel rovescio dei loro occhi, che Hilmegard sarebbe partita subito. Aveva appreso quel che doveva sapere: il boa e la tarantola, la sparizione del mondo.
«Il ragno tesse la coperta della notte e il serpente costringe il tempo a girare su se stesso», si limitò a dire la prima madre, mentre scioglieva l’abbraccio e la lasciava andare.
Nella foresta tutti sanno: piante, animali, sassi e acque. Sanno tutti che la battaglia fra tarantola e boa non ha vincitori.
Entsákua si congedò da Hilmegard consegnandole lo tsantsa più sacro per il suo clan. Una testa, rossoviola, con una fascia di tessuto grezzo attorno alla fronte, neri capelli e baffi fluenti. Hilmegard la ripose nella sacca e sopraggiunta l’alba s’addentrò di nuovo nella foresta. (pag. 263, 268, Franco Berardi, Massimiliano Geraci, Morte ai vecchi, Baldini&Castoldi)
Anderson De Bernardi, Ayahuasca vision